Eh sì, seppur con settimane di ritardo, vorrei esclamare “Benedetta Primavera” perchè è arrivato il momento di vedere vestito e tappato Pliocene.
Pliocene è la prima etichetta di un giovane vignaiolo artigiano di Allerona, un borgo nel cuore dell’Italia, non molto lontano da Orvieto e dal Lago di Bolsena.
Pliocene è la rinascita di Riccardo Danielli, classe 1983, che dopo tanti anni di lavoro a supporto di altre aziende vitivinicole, ha deciso di uscire allo scoperto scegliendo di produrre Pliocene, manifesto della sua anima di sognatore.
Ha preso in affitto dei piccoli appezzamenti con vigne semi abbandonate e gli ha trasmesso tutto ciò che in questi anni ha imparato, ovvero che la natura dev’essere assecondata ed istruita a produrre del buon vino.
Le vigne di oltre 50 anni sono gestite con un sistema di allevamento alternativo ed antico, con quattro archetti che fanno scendere i rami come un salice piangente e in alto viene posizionata a sostegno una croce.
Le uve per la produzione di questo vino sono quelle tipiche dell’Orvieto classico (Grechetto, Procanico e Trebbiano) che per la vendemmia di debutto, la 2019, hanno fatto 2 giorni di macerazione in vetroresina, poi
qualche travaso sulle fecce fini tra inox e vetroresina prima dell’imbottigliamento lo scorso marzo.
Passato un mese di assestamento in bottiglia finalmente può essere stappata.
Parliamo di un vino senza filtrazioni, con una solforosa sotto i 25mg/L e delle volatili spinte.
Ma vediamo un può cosa mi racconta Pliocene versandolo nel calice:
Il suo colore mi collega direttamente all’estate e al the al limone, è luminoso e brilla d’oro.
Naso pulito seppur leggermente chiuso al primo impatto, poi prende confidenza e mi propone ricordi di fiori secchi, paglia, note di camomilla, anice stellato e finocchietto selvatico, insomma un infuso di fiori ed erbe.
Sorso abbastanza pieno e leggermente astringente (molto probabilmente la responsabilità è mia perchè ho voluto testare una temperatura da bianchi), scorrevole e sapido che lascia tracce sul palato tra l’acido e il dolce, un mix da spremuta di arancia. Termina con un velo che si appoggia sul palato richiamando un altro sorso. E’ un vino “saporito” che incita il GLU-GLU. Lascio una lacrima nel calice, gli concedo un minuto e riassaggiandolo emerge il gusto dell’acino d’uva.
Non posso fermarmi, questo vino mi sembra variabile come il meteo della Primavera, devo concedermi e concedergli altri momenti di degustazione.
Il secondo giorno il naso è più assestato e comodo, l’infuso di erbe è più intenso e si ripropone contornato da note di propoli e scorze di cedro. In bocca è asciutto, abbastanza caldo e lineare, un vino dissetante e pulito, che continua a stimolare la beva.
Nei due giorni seguenti qualcosa vira e Pliocene non lo reputerei solo un vino da bere facilmente, assume note (ed emozioni) romantiche che richiamano anche l’accompagnamento al cibo.
L’olfatto regala accenni di frutta secca e fiori secchi, degustandolo fresco la mandorla dell’amaretto lascia le sue tracce nel retrogusto, poi in bocca diventa più cremoso e ampio seppur ancora leggermente astringente, con un finale che continua a rimanere sull’asciutto e sapido.
Pliocene è risultata una piacevole scoperta che mi ha animato una settimana di quarantena, allenando olfatto e gusto alla ricerca delle mille sfaccettature che un vino può donare. Mi sono divertita nel testarlo in diversi step e non vedo l’ora di stappare questo “neonato” in compagnia!
Grazie a Riccardo e #cincin di Buona Fortuna!
Per chi volesse approfondire sul nome di questo vino e sul perchè Riccardo ha disegnato una balena in etichetta, vi riporto un estratto del suo sito:
“BALENA
Passeggiare in un campo, imbattersi in una conchiglia e vedere il mare in una pozzanghera.
Gusci di noci della colazione del nonno che diventano scafi inaffondabili ed essere pronti a salpare nel mare del pliocene…
Un mare narrato dai nonni, un mare di un tempo molto molto lontano, un mare che ci faceva sognare e vedere le piante sott’acqua e le colline diventare onde.
Qui, silenziosa e solitaria, nuotava sui fondali , accarezzando con la pancia la stessa terra di sabbia e argilla dove io oggi trascorro le mie giornate.
Si muoveva lenta e tranquilla, in quella natura remota, di cui lei era la custode, in un equilibrio esatto, solido e pacifico, che ancora avverto nei frutti del mio lavoro. E, come lei, silenzioso e attento, cerco di custodire con fedeltà le antiche tradizioni, proteggendo l’eredità del passato nel rispetto dei ritmi naturali.
Lei era la Balena, una strada che mi ha portato nell’ unico posto possibile: il mio.”
Fonte: https://www.riccardodanielli.it

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