Il ritmo della vita frenetica, le abitudini dei paesi industrializzati e la tecnologia che disturba la convivialità vengono momentaneamente archiviati quando si arriva in Località Bandiera, a San Sebastiano Curone, nell’Alessandrino.
La giornata tipica di Andrea e Lina, che affrontano i loro giorni da vignaioli gestendo CASCINA BANDIERA, sembra vissuta in un’altra epoca. Sono trascorsi più di venticinque anni da quando, nel 1992, hanno lasciato Arzignano (VI), trasferendosi su questo colle isolato nel Basso Piemonte.
I vigneti inizialmente erano gestiti in biologico, ma l’esclusione da possibili vicini contaminanti e le difese naturali del posto li hanno spinti al biodinamico nella conduzione della loro piccola azienda agricola.
L’estensione del terreno vitato non arriva a due ettari, il suolo si presenta marnoso e salino, con presenza di fossili, mentre nella parte più alta è limoso. L’uva regina della casa è lo Chardonnay, seguita da Timorasso e Pinot Nero, per una tiratura annua complessiva che sfiora appena le 4.000 bottiglie delle annate migliori.
Tralasciando le ultime due, un 2018 faticoso per l’eccessivo caldo e un 2017 senza raccolta per l’estrema siccità, le bottiglie che riposano nell’area di stoccaggio di questa casa di campagna possono raccontare la piccola storia di questa coppia che ho conosciuto qualche mese fa ad una manifestazione dedicata ai vini macerati (gli “orange wine”).
Poche alternative e fronzoli tra le tre etichette monovarietali prodotte: vendemmia delle uve in periodi con bassa presenza di acidità, sosta del mosto con le fecce fini un anno in autoclave, lieviti indigeni, fermentazione malolattica, un anno di sosta in acciaio, pulizia del vino solamente per decantazione (e con il tempo), minimo due anni in bottiglia prima del commercio. Escluse da tutti i vini chiarifiche, filtrazioni e aggiunta di anidride solforosa.
Tra frutta secca, focaccia stirata e formaggi locali, il gioco della degustazione a casa di Andrea e Lina è partito con una carrellata di annate di CHARDONNAY, servite rigorosamente a temperatura ambiente.
Il 2014 si presenta pulito, minerale, sapido, godereccio da tutto pasto. Seppur non abbia nulla di scomposto e prevalente, durante la degustazione mi svelano che secondo loro non ha ancora raggiunto la perfezione attesa. Si prospetta comunque un’ottima annata di facile beva già nell’arco dei prossimi sei mesi. Il 2013 risulta invece caldo, solare, rotondo al palato, pronto da aprire e finire. In entrambe le annate il retrogusto finale punta principalmente alla mineralità dei terreni e il lato alcolico è ben equilibrato con sapidità e freschezza. Il 2012 è parallelo al 2014, ma con maggiore persistenza. Il 2011, con il suo profumo di camomilla e tisana alle erbe, allieta l’olfatto. Ciccione e gustoso sorseggiandolo. E’ un vino molto piacevole da accompagnamento al cibo e per Andrea è un Signore. Il 2007 è un finto vecchietto perché ha ancora molta strada da fare, con le durezze ben presenti. Il suo colore dorato è ancora lucente ed i profumi si spingono verso frutta matura, frutta secca e una sfumatura di nota marsalata quasi ossidativa. E’ un vino da mangiare, riempie a dovere la bocca e presenta un’ottima persistenza. Al naso è quello che mi ha affascinato maggiormente per l’espressione vintage, ma dal cuore giovane. Con l’annata 2003 mi trovo di fronte alla massima espressione del SAN SEBASTIANO di Cascina Bandiera: alti livelli di struttura, pulizia ed appagamento. I particolari che emergono riportano a note burrose e biscottate, contornate dall’onda marina. In bocca è amarotico e grasso, con finale sempre legato a nocciole e mandorle amare. Confrontandomi con Andrea e Lina il profilo zuccherino quasi stucchevole che presentava appena pronto (dato da un’annata calda) è svanito con il tempo, passando da un vino da meditazione ad un vino dissetante e ancora fresco.
Si tratta dunque di uno Chardonnay che di anno in anno diventa più elegante, maturo e complesso (come da standard), ma soprattutto più beverino e leggero nella facilità di apprezzamento. Acquista sentori croccanti, gustosi e pieni. Insomma, anzichè perdere vigore, guadagna posizione.
Il loro DERTHONA (Timorasso), a differenza dallo Chardonnay, rimane più fresco e citrino, perché non sosta con le fecce fini un anno, ed esprime in maniera esponenziale la componente minerale del suolo. Ne assaggio solamente una versione, la prima annata imbottigliata che si esprime con un ventaglio di frutta esotica, forse un’ananas fresca e leggermente acerba. Effettivamente in bocca è quasi salato, ma l’equilibrio con la freschezza aiuta proprio a pulire la bocca da qualsiasi sapore. Grande potenziale, bassa gradazione alcolica. Chissà come evolverà…
L’unico vino rosso prodotto è il PINOT NERO (etichettato sul web come “L’Introvabile” per la scarsissima produzione) che, come al solito, mi stuzzica. E’ un finto rosato a livello cromatico, sosta tra i 15 ed i 18 giorni sulle bucce. Al naso prevale inizialmente, a bottiglia appena aperta, un aspetto legnoso (anche se il legno non lo vede proprio), per poi sfociare su un sacco di frutti rossi e di bosco. L’annata 2015 è un piccolo Pinot nero che ti parla, che vuole essere assecondato ed aspettato, con un tannino ancora fresco e vivo (anche se non troppo allappante) e un retrogusto che riconduce alle amarene.
Questa giornata alternativa nella mia vita da appassionata di vini si è conclusa con una “degustazione” di quattro tipologie di mele antiche (consultando un vecchio libro comprato in un mercatino sembrano riconducibili alle varietà conosciute come renetta ananas, belladonna, limoncella e calvilla rossa) provenienti da alcune piante coltivate vicino alla cascina, senza alcun trattamento.
Che dire: Andrea e Lina sono fantastici, così come il tempo trascorso a tavola con loro, aprendo quelle bottiglie, ascoltando il loro sapere. Hanno dei vini che, senza scoprire i produttori e il luogo dal quale provengono, forse non sono del tutto comprensibili e non assumono pienamente il valore che meritano.
Una giornata davvero unica, dove non si parla di sentimenti d’impatto all’assaggio. Mi sono emozionata concedendo ai vini, e a me stessa, una pausa di riflessione con il calice in mano, ricordando questi momenti come un’esperienza che porterò con me per sempre.
Alla prossima Cascina Bandiera!
# cincin
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